di Carlo di Stanislao

“La storia è una galleria di quadri in cui ci sono pochi originali e molte copie.”
— Alexis de Tocqueville

Una tregua, non una soluzione

Nel cuore della notte, mentre i riflettori dei media occidentali erano concentrati su tutt’altro — le primarie americane, le proteste in Francia, l’Ucraina dimenticata — una notizia ha interrotto per qualche ora il flusso dell’ansia geopolitica: Israele e Iran hanno concordato una tregua di 12 ore, divisa in due fasi, con un meccanismo di verifica indiretta.

Non si tratta di un accordo di pace, né di un’intesa strutturata. È una sospensione bilaterale di ostilità per ragioni tattiche, favorita dall’intervento del Qatar e benedetta pubblicamente dal presidente americano Donald Trump.

Ma in realtà, questa breve pausa nasconde una verità scomoda: la guerra è pronta a ripartire in ogni momento, perché le condizioni che l’hanno prodotta non sono cambiate. L’unica cosa davvero nuova è l’equilibrio globale che la incornicia.

Trump: una diplomazia efficace ma instabile

Il ritorno di Donald J. Trump alla Casa Bianca nel gennaio 2025, dopo una vittoria elettorale che ha diviso profondamente il Paese, ha rimesso in moto una diplomazia “one man show”: personalistica, ipermediatica, fondata su messaggi diretti e spesso non coordinati con il Dipartimento di Stato.

Trump si è presentato come l’unico leader in grado di “far smettere i pazzi di bombardarsi a vicenda”, unendo minacce di ritorsione economica a inviti alla “razionalità”.

Ma questa efficacia negoziale va letta insieme alla sua imprevedibilità. In passato:

  • si è ritirato all’improvviso da accordi multilaterali (come l’accordo nucleare con l’Iran del 2015),
  • ha ordinato attacchi e poi li ha revocati all’ultimo minuto,
  • ha espresso contemporaneamente fiducia e disprezzo per leader stranieri nello stesso discorso.

Questa volubilità è vista con inquietudine dagli alleati, che temono di trovarsi coinvolti in crisi improvvise senza coordinamento. È efficace nel breve, ma poco affidabile nel lungo periodo. Con Trump, nessun impegno è definitivo. Come ha osservato un diplomatico europeo: “È negoziatore brillante, ma con memoria corta e una bussola morale intermittente.”

Il Qatar, l’arte della neutralità attiva

A facilitare la tregua è stato il Qatar, attore chiave e invisibile, che da anni costruisce una rete di relazioni asimmetriche: ospita una base americana e allo stesso tempo finanzia Hamas; è partner commerciale dell’Iran ma anche alleato degli Emirati.

Il Qatar ha saputo usare la propria opacità geopolitica come risorsa. Con discrezione, ha garantito:

  • il dialogo indiretto tra emissari israeliani e iraniani;
  • la logistica per incontri riservati tra mediatori;
  • e soprattutto il silenzio mediatico che serve per portare avanti negoziati reali.

In un mondo dove le diplomazie classiche arrancano, il Qatar rappresenta il prototipo delle nuove potenze intermedie, capaci di influenzare partite globali pur avendo dimensioni contenute. La sua azione, però, è frutto di un equilibrio estremamente fragile.

Putin con l’Iran: alleanza calcolata, non ideologica

L’appoggio immediato e incondizionato di Vladimir Putin all’Iran era atteso. Ma è utile leggerlo non come gesto emotivo, ma come manovra lucida.

Putin ha bisogno di:

  • tenere gli USA occupati su più fronti, per diluire il sostegno all’Ucraina;
  • consolidare un asse energetico alternativo all’Occidente, con gas iraniano e tecnologia russa;
  • rafforzare la propria immagine interna ed estera come “protettore dell’ordine multipolare”.

L’appoggio a Teheran è parte di una strategia di logoramento dell’Occidente, non di adesione all’agenda ideologica iraniana. Mosca vuole un Medio Oriente instabile ma controllato, dove può agire come garante o destabilizzatore, a seconda del proprio interesse del momento.

Iran: lo spettro del collasso interno

Mentre all’estero l’Iran si presenta come monolite, al suo interno è attraversato da tensioni pericolose.

Il leader supremo Ali Khamenei è gravemente malato, e si susseguono da settimane indiscrezioni su manovre interne per anticipare la successione. I pasdaran si contendono il potere con i clerici tradizionalisti, mentre settori pragmatici — legati a Rouhani e al vecchio establishment moderato — tentano di evitare un collasso sistemico.

È in questo clima che nasce la tregua: non tanto come segnale di pace, ma come pausa per evitare un collasso parallelo interno ed esterno. L’Iran non può permettersi una guerra totale ora, ma nemmeno può apparire debole. Questo dualismo rischia di renderlo ancora più imprevedibile.

Geopolitica: verso un disordine stabile

La tregua tra Israele e Iran è una cartina di tornasole per il nuovo ordine multipolare fragile:

  • Gli USA sono centrali ma non più dominanti;
  • La Russia è attiva, ma più come sabotatrice che come costruttrice;
  • La Cina osserva, finanzia, influenza senza esporsi militarmente;
  • L’ONU è assente;
  • L’Europa è spettatrice marginale.

Questo significa che nessuna potenza è oggi in grado di garantire stabilità, e tutte si muovono secondo logiche tattiche, senza progettualità a lungo termine. La tregua rischia quindi di essere solo un rallentamento nella corsa verso un nuovo conflitto regionale, che potrebbe esplodere in Siria, in Libano o nel Golfo.

Italia: tra neutralismo strategico e frattura politica

Nel mezzo di questo caos globale, l’Italia resta defilata. Giorgia Meloni ha elogiato la tregua e ha sottolineato “il valore della moderazione”, ma Roma non ha avuto alcun ruolo attivo nella mediazione.

Questa neutralità prudente è una scelta: l’Italia non vuole né può esporsi in una regione dove non ha leve né influenza. Tuttavia, sul piano interno, la crisi mediorientale ha avuto effetti esplosivi.

Il Movimento 5 Stelle ha votato contro la mozione del PD per fermare le importazioni di gas russo, rivendicando una “politica estera autonoma” e criticando “l’atlantismo ideologico”.

Il Partito Democratico ha reagito con durezza, parlando di “scelta irresponsabile e anti-occidentale”. Calenda e Bonino hanno abbandonato ogni velleità di riunificazione del campo largo.

Il risultato è una frattura insanabile tra le forze di opposizione, che si presentano divise su temi fondamentali: guerra, energia, alleanze. In vista delle elezioni europee del 2025, il centrosinistra si avvicina senza un progetto e senza un linguaggio comune.

Conclusione: il tempo guadagnato non è pace

La tregua tra Israele e Iran è una parentesi, non una svolta. È figlia dell’opportunismo, non della visione. Ma rivela molto del mondo in cui viviamo:

  • un mondo in cui le potenze negoziano senza garanzie,
  • in cui la diplomazia vive sui social media,
  • e in cui le crisi locali possono innescare esplosioni globali in poche ore.

Trump può vantare un successo, ma non garantirne la durata.
Putin può appoggiare, ma non governare il caos.
Il Medio Oriente resta un sistema instabile, dove ogni pausa è una miccia bagnata, pronta a riaccendersi.

E l’Europa, e l’Italia, devono scegliere se restare a guardare o tentare di contare davvero.

 

pH Pixabay senza royalty

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

CAPTCHA ImageChange Image

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.