La notte del 13 marzo 2025 resterà impressa nella memoria dei cittadini di Napoli Ovest non solo per la forte scossa di terremoto che ha colpito l’area dei Campi Flegrei, ma anche per un episodio emblematico dell’impreparazione istituzionale: i cancelli dell’ex base NATO di Bagnoli, considerata da molti un potenziale luogo sicuro, erano chiusi. Bloccati. Inaccessibili.
A pochi minuti dal sisma, centinaia di residenti impauriti si sono riversati in strada. Tra loro, molti si sono diretti verso quella struttura , simbolo da anni di promesse mai mantenute, riconversioni annunciate e poi evaporate , cercando riparo. Ma ciò che hanno trovato è stato un muro, fisico e simbolico: un cancello sbarrato e nessuna autorità a presidiarlo o a garantirne l’apertura.
La domanda sorge spontanea: chi doveva aprire quei cancelli? E perché non lo ha fatto?
Non si è trattato di un errore tecnico o di un imprevisto: l’inerzia è una responsabilità politica. Le istituzioni locali e la Protezione Civile avevano il dovere di prevedere che, in un’area ad altissimo rischio sismico, spazi come l’ex base NATO potessero diventare punti di raccolta spontanei per la cittadinanza. E invece, nulla. Nessuna comunicazione, nessun presidio, nessuna forma di prevenzione.
Nel vuoto dell’azione pubblica, sono stati i cittadini — ancora una volta — a doversi arrangiare. Alcuni hanno sfondato i cancelli, hanno parcheggiato le auto all’interno e si sono accampati per la notte. È facile, ora, parlare di “atti illegittimi” o “tensione sociale”. Ma chi è davvero fuori legge: chi cerca rifugio o chi, per negligenza, chiude le porte dell’unico luogo sicuro accessibile?
Questo non è solo un episodio di disorganizzazione. È un fallimento strutturale.
La gestione dell’emergenza non può ridursi a conferenze stampa rassicuranti o comunicati post-evento. Serve una rete di spazi attrezzati, procedure chiare, e soprattutto la volontà di mettere la sicurezza delle persone al centro. I Campi Flegrei sono una bomba a orologeria geologica: i cittadini lo sanno, gli scienziati lo ripetono, ma le istituzioni sembrano agire come se fosse un fastidio da rinviare.
Il caso dell’ex base NATO deve diventare il punto di partenza per una riflessione seria. Perché non è più accettabile che, in un Paese che si dice moderno e democratico, la sopravvivenza in caso di terremoto dipenda dall’istinto e dalla disperazione dei singoli.
L’emergenza ha squarciato il velo: ora si vedono chiaramente tutte le crepe , non solo nel terreno, ma nelle fondamenta del sistema pubblico. E quelle, a differenza del terremoto, si possono e si devono riparare.
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