Da ragazzo ricordo con una punta di nostalgia quando mio nonno o mia mamma portavano a casa la prima sporta di mandarini da gustare a fine pasto. L’odore della buccia tolta dalla polpa e la fragranza emanata dal frutto stesso una volta aperto, disperdeva nell’aria quel profumo tipico che portava puntualmente mia mamma ad esclamare: “mo’ si che sta trasenn’ Natale”. In un’epoca nella quale ormai ogni frutto è praticamente reperibile in ogni momento dell’anno, quel rito del mandarino sbucciato che, cosa importante, seguiva il ritmo naturale delle stagioni senza le forzature genetiche attuali, apriva le porte alla magia Natalizia ed all’attesa spasmodica, per noi studenti, delle tanto sospirate vacanze. Si cominciavano a contare i giorni sul calendario mentre le giornate si accorciavano, si scrutava il cielo fiutando quell’aria di neve, altro elemento naturale quasi del tutto scomparso alle nostre latitudini, si aprivano le finestrelle del calendario dell’avvento fin quando, in un gioco ed un riverbero di luci e colori, compariva l’albero di Natale ed il Presepe. L’albero, le luminarie, la tombola con la nonna sorda che non capiva mai bene i numeri da ripeterle 3 o 4 volte, altri elementi caratteristici del Natale di un tempo da vivere nella serenità familiare; sarò rimasto tradizionalista ma se non vedo la scritta Dicembre sul calendario, non riesco ad anticiparmi nel rito di vestire la casa a festa con gli addobbi di ogni genere. Il Natale odierno è ormai puro consumismo con centri commerciali illuminati a giorno fin da Novembre, vetrine sfarzosamente decorate solo per pubblicizzare con largo anticipo prodotti da vendere ed invogliare il consumatore a spendere. E’ un Natale puramente consumistico quello “novembrino”, che non mi appartiene e mai mi apparterrà. Voglio continuare ad attendere Dicembre per dare corso a quel profumo di mandarino e potermi sentire invaso dal vero spirito natalizio! Per noi Beneventani poi, più del mandarino, delle luci, degli addobbi, ecco comparire sulle tavole imbandite la pietanza che una volta scherzosamente ho definito “patrimonio UNESCO”, ovvero il cardone. Una prelibatezza unica nel suo genere con l’unione dei cardi, del brodo di pollo (o meglio cappone), le uova, le polpettine, più una serie infinita di varianti a seconda della cuoca di turno. Ogni anno la fortuna di ritrovarsi con i propri cari attorno ad una tavola imbandita con il piatto fumante di cardone pronto ad essere degustato, il profumo dei mandarini, l’albero acceso è perché no, con qualche centimetro di neve ad imbiancare il paesaggio, mi farà riprovare l’ebbrezza di tornare il fanciullo che attendeva la festa della Natività pieno di sogni, desideri e speranze.
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