L’ editoriale del Direttore Daniela Piesco
È un bel dire che “i giornalisti devono essere liberi da vincoli” ed essere “i cani da guardia del potere” o avere quel ruolo di “vedetta sul ponte di comando della nave dello Stato” come scriveva Joseph Pulitzer.
Dunque, mai piegarsi a raccontare “verità” di comodo ad uso di poteri forti e dei partiti politici…
Il ruolo di chi scrive per professione dovrebbe essere quello di informare i cittadini, dando loro notizie in modo il più possibile completo e corretto. Questo significa innanzi tutto che le notizie siano prima verificate.
Ma oggi la formula “essere la coscienza critica delle istituzioni” è per molti giornalisti un’espressione considerata desueta e svuotata di significato. È invece ancora molto valida. Il problema è come riuscire ad esserlo perché
prosegue la serie di condanne a giornalisti ed editori per aver diffamato nel 2020 Antonio Esposito, il giudice che ha presieduto il collegio della Cassazione che nel 2013 rese definitiva la sentenza di condanna per frode fiscale a Silvio Berlusconi.
Dopo Alessandro Sallusti, Vittorio Feltri, Pietro Senaldi, Stefano Zurlo, Renato Farina, Luca Fazzo e altrii di Libero e del Giornale , tocca a Pietro Sansonetti, come direttore del quotidiano Il Riformista, e alla società Romeo Editore srl.
In quegli articoli scritti nel 2020, Esposito è definito giudice “in malafede”, “magistratello”, “esponente dichiarato del partito delle manette”, “editorialista del Fatto”(cfr quotidiano)
“Le dichiarazioni rese da Pietro Sansonetti”, si legge nella sentenza, “ingenerano nel lettore la falsa convinzione del mercimonio delle funzione giudiziaria, asservita a una parte politica rispetto a un’altra, con evidente attacco alla sfera morale dei magistrati; esula, infatti, dal diritto di critica giudiziaria l’accusa di asservimento della funzione giudiziaria a interessi personali, partitici, politici ed ideologici, ovvero accuse di strumentalizzazione di quella funzione per il conseguimento di finalità divergenti da quelle che debbono guidare l’operato di un magistrato”.
Conclude il giudice: “Tutti gli scritti e le dichiarazioni di Pietro Sansonetti fanno apparire la decisione presa dalla Cassazione come evidente frutto di ‘ostilità politica’ del collegio giudicante e in particolare del suo presidente Antonio Esposito, accusati apertamente di parzialità e mancanza di indipendenza”.
In definitiva, “tutti gli articoli e le dichiarazioni rese da Pietro Sansonetti in interviste concretano una vera a propria campagna stampa violenta e denigratoria” nei confronti di Esposito , “per ragioni legate all’esercizio della funzione giudicante.”
Ma vi è di più !
Sallusti e Sansonetti vengono oggi ricondannati per i loro interventi in quattro puntate della trasmissione televisiva “Quarta Repubblica” condotta da Nicola Porro.
Sansonetti aveva definito la magistratura “potere indipendente e incontrollato che agisce al di fuori della legalità”, “potere illegale”, “fuori controllo”: “sappiamo oggi che la magistratura è marcia”. Aveva parlato della sentenza di Cassazione come “complotto politico per l’eliminazione del grande leader politico”, in uno “stato di diritto travolto dalle trame della magistratura italiana”, con “il giudice Esposito che sta dentro questa storia”: “il giudice Esposito è uno scandalo vivente”, anche in relazione alla circostanza che è poi divenuto editorialista del Fatto.
Il “complotto” viene ricondotto da Sallusti al Consiglio superiore della magistratura e addirittura all’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: “la giustizia rispondeva ad altri poteri”, “la democrazia è stata truccata con una manovra giudiziaria spregiudicata” e “la sentenza è taroccata”. “La democrazia è stata violata, taroccata, complici di questa pronuncia i giornali, politici e istituzioni”.
Il giudice del Tribunale civile di Roma scrive che ha “esplicita valenza diffamatoria” “l’accusa a magistrati precisamente individuabili, nella specie gli appartenenti al collegio giudicante sul ricorso in Cassazione di Berlusconi”.
“Tutte le dichiarazioni di Sallusti e Sansonetti rese quali ospiti nelle quattro puntate esaminate di ‘Quarta Repubblica’ fanno apparire la sentenza della Cassazione come evidente frutto di pregiudizio e ostilità politica del collegio giudicante ed in particolare del suo presidente, con l’aperta accusa di parzialità e mancanza di indipendenza”. Diffamatoria è “la conferma di un complotto, presentato al pubblico come certo ed inequivocabile, ma invero assolutamente privo di riscontro giudiziale nella sua essenza storica in termini di certezza di un comportamento doloso dei magistrati e di un preciso disegno degli stessi volto a danneggiare l’imputato”.
Ne viene fuori un giornalismo seppellito dalle convenienze e dalla cappa della cosiddetta Oggettività che qualcuno ha infilato a forza addosso a un mestiere che, al contrario, neutrale non è per niente.
Chi ha paura della buona informazione?
Chi ha bisogno di avere intorno a sé un giornalismo impigrito, distratto, benedicente e benevolente e quindi anche privo di autorevolezza?
Quei contesti sociali, politici e (in) civili in cui l’assenza di buona informazione è una garanzia di impunità a tutti i livelli. Per cui si lavora con meno controlli, con più spregiudicatezza. Ci sono campi in cui, in Italia, si costruiscono carriere senza doversi mostrare agli occhi dell’opinione pubblica. Per questo un giornalismo impigrito certamente fa comodo.
In questo quadro il giornalismo ha spesso l’aria di un’astratta predicazione, e la democrazia vera, vista da vicino, fa spavento.
Il popolo non è in grado di distinguere il buon governo dal cattivo. Proprio per questo, per Voltaire, colui che può realizzare il migliore governo è «il despota illuminato». E Voltaire aveva ragione.
Ha avuto il solo torto di non lasciarci il sistema per rintracciarlo e soprattutto la garanzia che quel genio benefico un giorno non si sarebbe trasformato in un tiranno sanguinario.
Lo sappiamo, la democrazia fa schifo ma l’alternativa può essere soltanto peggiore.
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