L’ editoriale del Direttore Responsabile Daniela Piesco
E ora che santo giulivo ha deciso di rifugiarsi tra le mura francescane (per la serie non c’è limite al ridicolo )credo possa tornare a parlarsi di temi seri ..
In effetti seguendo la scia di altri politici coinvolti in scandali, anche Sangiuliano ha preferito il fresco del convento alle intemperie dei palazzi romani appena lasciati.
Ma agli italiani, oggi, di avere dei politici santi in preghiera interessa poco…
Paese di poeti, santi e navigatori: chissà quante volte questo cliché è stato ripetuto, soprattutto all’estero. Del resto, il nostro è identificato come il Bel Paese, non solo per l’oggettiva bellezza artistica diffusamente radicata nella penisola, ma anche per il modo di vivere. Un modo che comprende, per via della plurisecolare presenza di Santa Romana Chiesa, anche per l’appunto l’aura della santità.
Pazienza poi se, nel corso della storia, gli italiani non sempre si sono dimostrati propriamente santi…Anche perché, seguendo un’altra tradizione molto italica, la cultura cattolica permette la redenzione.
E quale migliore occasione di redimersi, se santi agli occhi della gente non si è più, se non quella di entrare nelle mura di qualche convento? Lontani dai vizi…
Veniamo a noi
Questo governo continua a smantellare l’articolo 21 della Costituzione. Mentre tiene in ostaggio la Rai perché impantanato nella guerra per spartirsi le poltrone, mentre ottiene 15 minuti in prima serata per l’intervista auto-assolutoria di un ministro ex dirigente Rai e ora in odore di santità vista la sua fuga tra le mura francescane , trova il tempo di imporre un nuovo bavaglio alla stampa e ai cittadini, che saranno meno informati.
Un ritorno al passato che nulla ha a che vedere con il garantismo. In realtà il divieto di pubblicare le ordinanze di custodia cautelare è un piacere ai potenti che vogliono l’oscurità e ai colletti bianchi.
Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario ,come sosteneva Primo Levi, se un cronista ha una notizia ufficiale, non vedo come si possa mettere un bavaglio alla titolarità del giornalista di pubblicarla. Il divieto di pubblicare stralci integrali è un’assurdità. Si chiede di parafrasare? L’emendamento potrebbe anche passare, ma voglio vedere se qualcuno oserà mettere sotto processo un giornalista perché ha pubblicato un fatto vero
Mi auguro almeno che questa indubbia limitazione alla genuinità del diritto di informazione verrà applicata indistintamente sia ove si tratti di reati dei cosiddetti colletti bianchi e sia ove si tratti di efferati femminicidi, sia quando l’imputato sarà un’autorevole persona pubblica e sia quando invece l’imputato sarà un semplice extracomunitario.
Ma procediamo per gradi
Il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto legislativo che modifica l’articolo 114 del codice di procedura penale, introducendo ulteriori restrizioni sulla pubblicazione delle ordinanze di arresto durante le indagini preliminari.
Dunque, sarà vietata la pubblicazione del testo delle ordinanze di custodia cautelare fino alla conclusione delle indagini preliminari o al termine dell’udienza preliminare.
Sarà invece permesso “parafrasare” i contenuti delle ordinanze, presentandoli sotto forma di sintesi non letterale. In pratica, si potrà riformulare il testo delle ordinanze utilizzando parole diverse, offrendo una sorta di riassunto.
. La legge riduce infatti l’accesso alle informazioni per il pubblico e, imponendo la sintesi delle ordinanze, potrebbe aumentare il rischio che i giornalisti trasmettano informazioni in modo meno accurato o distorto, compromettendo in maiera significativa la qualità dell’informazione destinata ai cittadini.
Per fare un esempio: se la “legge bavaglio” fosse stata in vigore qualche mese fa, non sarebbe stato possibile pubblicare integralmente i dialoghi che hanno portato all’arresto per corruzione del governatore della Liguria, Giovanni Toti.
Viene da domandarsi se sia un segno dei tempi il divieto, di antiche radici inquisitorie, di pubblicare un provvedimento del giudice, fonte primaria e ufficiale della notizia di un arresto.
Per quale motivo si sottrae alla libera informazione un atto ufficiale che documenta la valutazione operata dal giudice sui gravi indizi di colpevolizza e sulle esigenze cautelari, se non per limitare od orientare la critica dell’opinione pubblica in favore o contro il provvedimento a seconda dei desiderata della maggioranza?
Questo divieto, non solo non salvaguarda le esigenze processuali ma non è neppure una tutela della presunzione di non colpevolezza, che invece trova salvaguardia proprio nel provvedimento del giudice che si vieta di pubblicare.
La stampa libera sarà imbavagliata, limitare la possibilità di conoscere le motivazioni di un arresto renderà più facile sottoporre alla inquisizione mediatica, a seconda dei casi e degli interessi, l’arrestato oppure il magistrato.
Quando leggo che il divieto di pubblicazione dell’ordinanza rafforzerebbe la presunzione di innocenza dell’arrestato, non capisco il collegamento.
La presunzione d’innocenza è fornire una informazione corretta per evitare che si formino pregiudizi. Quindi è il contrario: un’informazione incompleta potrebbe produrre danni all’indagato, impedendo di riferire elementi utili alla sua difesa, al contesto in cui ha agito. La completezza dell’informazione è la migliore garanzia per tutti: per l’opinione pubblica, per l’indagato, per le parti offese
La legge di fatto riduce al silenzio la pubblica accusa e scarta il principio di offensività del reato, anch’esso di rilevanza costituzionale.
A parlare di ciò che è successo rimarranno solo gli avvocati e i privati. Magari in televisione com’è accaduto per il figlio di Totò Riina.
Non vi è alcuna disciplina della comunicazione delle parti private che restano libere di esprimere qualsiasi contenuto, anche non rappresentativo della realtà. Non vi è alcun controllo delle forme di comunicazione diffuse sui social o in tv, con la conseguenza che tutti gli strumenti di comunicazione diversi da quella istituzionale (di rilevanza sociale) trovano uno spazio più ampio e incontrollato, a scapito della verità e dell’informazione con conseguenti danni collaterali inimmaginabili.
Inoltre tale legge non fa differenza tra ‘persona comune’ e ‘personaggio pubblico’, di conseguenza se un amministratore pubblico, o un rappresentate di un partito politico, o addirittura un’alta carica istituzionale dovesse essere indagata, per una qualsivoglia tipologia di reato, il cittadino ne rimarrebbe all’oscuro.
È giusto che non si sappia praticamente nulla fino a sentenza definitiva?
Già esiste l’articolo 27 della costituzione che prevede già la presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio come valore primario da preservare
Ma al legislatore italiano a cui tanto piace il mantra ‘c’è lo chiede l’Europa’ ha colto l’occasione per limitare “fortemente la comunicazione istituzionale, che viene sostanzialmente vulnerata, a scapito del diritto di informazione dei cittadini e, se possibile, addirittura degli stessi imputati”.
La direttiva europea recepita dal legislatore italiano con il d.lgls. 188/2021, era rivolta principalmente agli Stati di più recente ingresso nell’Unione europea, nei quali non erano presenti adeguati strumenti di tutela dell’imputato
Ma l’Italia, giacchè ne dica l’Europa, non è un Paese come gli altri.
E’ il Paese dove sono stati ben 28 i magistrati uccisi dai diversi poteri criminali, Cosa Nostra, Camorra, ‘Ndrangheta e terrorismo ed è il Paese dove c’è stato il periodo stragista, troppo spesso messo da parte come ‘roba vecchia’.
Evidentemente ad una certa politica non va bene che i cittadini vengano informati sui fatti inerenti alla mafia, alla corruzione, e ai rapporti delle classi dirigenti con la criminalità organizzata.
Ma noi in Italia abbiamo un problema : abbiamo una Costituzione che garantisce indipendenza e autonomia alla magistratura e questa miscela tra classe dirigente dedita all’illegalità e indipendenza della magistratura è una miscela esplosiva che ha fatto entrare il nostro sistema in fibrillazione negli ultimi cinquant’anni a questa parte.
A conti fatti ciò che spaventa la politica è proprio quell’indipendenza e quell’autonomia che la nostra Carta Costituzionale garantisce alla magistratura.